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Ted Ciamillo: Sotto l’Atlantico in pedalò (tipo… creativo, no?)

Grazie a Susanna Eduini

Inizia il momento di andare in spiaggia sul serio e se ti annoi perchè non sai cosa fare… ti consiglio di leggere l’articolo di seguito, tratto dal sito www.wired.it

Athens (Georgia). La spiaggia più vicina è a trecento chilometri di distanza. Per vedere l’oceano devi ingoiare ore di traffico e di campagna ripetitiva. Quella della Georgia è gente di terra, piedi piantati nei campi di cotone che hanno regalato allo stato una certa prosperità. Il mare è un concetto astratto. Se qualcuno si mettesse in testa di voler nuotare più veloce di un delfino, non verrebbe certo da queste parti. Sto viaggiando lungo la statale 78 che da Atlanta conduce fino ad Athens, città di una delle università più antiche d’America. Oltre il guard rail non vedo che fast food, alberghi per soggiorni il più breve possibile e cartelli pubblicitari di armerie di cui la zona è piuttosto ricca. Ammazzano il tempo, da queste parti, e per riuscirci sparano a tutto quello che si muove nei boschi del circondario. L’appuntamento con Ted Ciamillo è all’uscita dell’autostrada, dentro un caffè stretto tra il benzinaio e il rivenditore di fucili. Lo aspetto e faccio qualche domanda. Ted lo conoscono, come succede ai tipi un po’ strani nelle cittadine in cui è dura farsi gli affari propri.
«Ma certo, Ciamillo, quel tizio che si è scavato un lago in giardino. Un ragazzo tranquillo, gran lavoratore», mi fa un signore che legge il giornale locale, tagliando corto, ma si capisce che vorrebbe dire di più.
Ted è una specie di
Fitzcarraldo del ventunesimo secolo, il personaggio del film di Werner Herzog, realmente esistito in Amazzonia: si chiamava in verità Brian Sweeney Fitzgerald ma gli indios locali non impararono mai a pronunciare il suo nome. Un visionario che cercò di scavalcare una collina usando però una nave e voleva costruire un teatro d’opera nel cuore della foresta. Anche con Ciamillo i georgiani hanno qualche problema di dizione, e attraversare l’oceano Atlantico a bordo di un sommergibile a pedali costruito in un luogo tanto remoto dall’acqua è roba da visionari di prima classe. Ted è un adolescente di 40 anni, il cappellino da baseball e il sorriso facile. Mi dice che non c’è nulla da fare. Quello della traversata è il suo destino. Poi confessa un nonno di Avellino e il padre originario di Napoli. Lo dice con orgoglio, per rimarcare che la sua presenza in quel luogo è solo un accidente geografico. «Più tardi ti spiego», mi rassicura. E per cominciare mi invita a mangiare nel suo ristorante preferito nel cuore di Athens. Italianissimo.
Il prossimo novembre Ted Ciamillo affronterà l’inimmaginabile. A bordo di un sommergibile costruito in casa,
The Subhuman Project, lascerà le coste africane a Capo Verde per raggiungere Barbados. È un’impresa mai tentata prima, un gesto basato su ambizione scientifica e sperimentazione tecnologica esasperata. Gli chiedo subito della favola del lago costruito in casa. Ted conferma. «Sono nato in New Jersey, ho girovagato abbastanza prima di trovare questo posto, uno dei pochi in America senza lacci ambientali. Ho comprato un pezzo di terra che non voleva nessuno, poche tasse da pagare, fuori mano. Il mio laboratorio l’ho costruito lì, e poi ho scavato un lago profondo una decina di metri per le sperimentazioni del Subhuman. E siccome d’estate qui fa molto caldo, ho pure creato una piccola spiaggetta, per i weekend con la famiglia…».
La spiaggetta è nascosta tra gli alberi, oltre la strada principale; la si raggiunge solo attraverso un sentiero poco asfaltato. Il laboratorio lo ha tirato su Ted con le sue mani, perché da queste parti «è difficile trovare mano d’opera come si deve», mi spiega con rammarico. Ed è una struttura interamente di cipresso: «Il legno più resistente». Presto sarà anche totalmente ecologica.
L’interno del laboratorio sembra più la sala giochi di un bambino molto cresciuto che la tana di uno scienziato. Si apre con una Harley parcheggiata in bella evidenza, poi lo spazio si divide in due: la parte industriale, dove un paio di operai lavorano ai componenti superleggeri per biciclette – l’attività principale di Ted – e sul retro la “sezione sognatori”, con il siluro di fibra di carbonio appoggiato su un trespolo, come un pesce assonnato. The Subhuman.
Mr. Ciamillo, qual è la molla che la spinge? «Me lo sono chiesto anch’io parecchie volte ed è complicato spiegare. Diciamo che tutto nasce dalla mia passione per la velocità. Adoro le motociclette, mi piacciono le Ducati, spingerle al massimo. E allora mi chiedo: perché non provarci nell’acqua? In fondo è un sogno andare veloci quanto i delfini, nessuno ci è mai riuscito ma adesso esiste la tecnologia per provarci. È una grande sfida».
Dalle biciclette a un sottomarino, è un bel salto… «Credo che ognuno di noi abbia delle qualità che derivano dall’esperienza, e che cerchi di metterle a frutto. Mio padre riparava auto, dunque sin da bambino ero capace di fare molte cose con le mie mani. Da lì sono partito e non mi sono mai fermato. Ho sempre avuto una grande passione per l’acqua, per le immersioni e per la natura, ho solo unito le due cose. Se fossi nato in una famiglia di artisti probabilmente avrei scelto la vita d’artista. È semplicemente questione di esprimere se stessi».
Qual è stato il primo passo verso questo progetto? «Inizialmente volevo entrare nel mercato militare con la creazione di un sommergibile elettrico, ma non c’era abbastanza richiesta. Poi ho pensato al mondo dell’immersione libera, che è popolare ma non garantisce certo ricavi e produzioni industriali. Allora mi sono detto che era meglio concentrarsi su un progetto che avesse grande valenza scientifica. Non ho nessuna intenzione di mettere in produzione The Subhuman, sarà solo una grande operazione di marketing per far conoscere a molte più persone il fascino delle immersioni. Significherà più investimenti e più gente che si appassiona. Qui in America è una nicchia minuscola. Le faccio un esempio: sulla specialità hanno prodotto un film appena, Le Grand Bleu, quando invece ci sarebbero storie bellissime da raccontare. Da voi è un po’ meglio, grazie a gente come Umberto Pellizzari, ma si può fare parecchio di più».

…continua la lettura su www.wired.it
Giannicola De Antoniis:
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