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Merito dei geni o della famiglia il quoziente d’intelligenza dei bambini?

Immaginate questa situazione: avete due figli, uno di nove e l’altro di cinque anni, e siete convinti di aver fatto dei vostro meglio per contribuire al loro sviluppo mentale. Gli avete insegnato l’amore per i libri leggendo per loro quand’erano piccoli, gli avete regalato giocat­toli istruttivi, li avete portati in biblioteca. E ora vanno bene a scuola. Ma è merito vostro? Secondo alcuni scienziati, sarebbero riusciti altrettanto be­ne anche senza il vostro impegno pie­no di buona volontà. Per esempio, in “The Limits of Fa­mily Influence” (I limiti dell’influenza familiare) David C. Rowe della University of Arizona sostiene che il modo di crescere i figli non influisce minimamente sulla loro intelligenza. Nel loro libro “La curva a campana”, Charles Murray e Richard Hernstein quest’ultimo scomparso di recente sostengono che l’intelligenza è un fat­to prevalentemente genetico, e che il suo livello varia a seconda delle razze. Sulla scia delle polemiche suscitate da questa teoria, il quotidiano economico americano The Wall Street Journal ha pubblicato una dichiarazione firmata da 52 scienziati secondo cui i risultati di alcune ricerche “indicano che la genetica ha un ruolo più decisivo dell’ambiente nel creare le differenze di quoziente d’intelligenza”. Dopo essersi sentiti ripetere per anni quanto fosse importante stimolare il cervello dei propri figli, molti genitori sono comprensibilmente perplessi, e si chiedono a questo punto se i loro sforzi non siano stati una pura e semplice perdita di tempo. No, rispondono molti scienziati. L’American Psychological Association ha affidato di recente a un gruppo di esperti il compito di confrontare gli effetti che l’ambiente (nel quale rientrano non solo le cure della famiglia, ma anche la salute e l’alimentazione) e la genetica hanno sull’intelligenza. Ebbene, dallo studio è emerso che entrambi svolgono un ruolo importante. Il ruolo dei geni è predominante, certo, ma ai genitori rimane spazio sufficiente per influenzare il risultato finale. In effetti, un numero sempre più alto di ricerche indica che, soprattutto nei primi anni di vita, quando il cervello è ancora in via di formazione, la presenza attenta dei genitori – anche se si limita al gioco del cucù – aiuta la formazione del complesso sistema di circuiti cerebrali che è alla base di un corretto sviluppo dell’intelligenza.
“E’ necessario che i genitori siano coscienti dell’importanza del loro contributo” dice Craig Ramey, che insegna psicologia alla University of Alabama di Birmingham e da 30 anni stu­dia il rapporto tra sviluppo intellettivo nella prima infanzia e stimoli esercitati dagli adulti. “Abbiamo riscontrato risultati positivi anche in bambini mollo piccoli.”
ESPLOSIONE di CONNESSIONI. Le prove più convincenti della verità di quanto detto finora si trovano in una ricerca su bambini «a rischio», perché nati in un contesto di grande povertà, condotta da Ramey assieme a Frances Campbell della University of North Carolina. I bambini hanno cominciato a essere seguiti dall’età di quattro mesi, e nel corso dello studio sono stati divisi in due gruppi: uno trascorreva la giornata in un centro dove veniva stimolato con giochi e canzoni da in­segnanti specializzati, all’altro invece venne soltanto assicurata un’alimentazione più ricca durante l’infanzia. Negli anni prescolari i bambini dei primo gruppo rivelarono quozienti d’intelligenza da 10 a 20 punti più alti rispetto agli altri. I benefici maggiori li ricavarono i piccoli a massimo rischio, che a 15 anni riuscivano a scuola meglio delle loro controparti escluse dal programma di educazione precoce. Come si spiegano questi risultati? Ramey e altri scienziali dicono che le esperienze della prima infanzia favoriscono lo sviluppo cerebrale. Un bambino viene al inondo dotato di miliardi di cellule cerebrali, che si chiamano neuroni. Alcune sono colle­gate con altre cellule ancor prima della nascita per regolare funzioni vitali primarie come il battito cardiaco e la respirazione. Altre attendono di essere collegate per aiutare il bambino a interpretare il mondo esterno e interagi­re con esso. E gli agganci, i collegamenti tra cellule sono determinati dall’esperienza. Man mano che il bambino cresce, le cellule si mettono in contatto con altre cellule stabilendo vie di comunicazione necessarie alla creazione di un comportamento. Per esempio, i neuroni dell’occhio si collegano con l’area visiva che interpreta ciò che l’occhio vede e questa, per mezzo di altri collegamenti, suggeri­sce alla persona come reagire alla cosa che ha visto. Tutte le volte che un’esperienza si ripete, le vie di co­municazione si rinsaldano. Nei primi due anni di vita del bambino si verificano uno straordinario sviluppo del cervello e un’esplosione di connessioni cerebrali, che al compimento del secondo anno sono già 300.000 miliardi. Contemporaneamente, si eliminano le cellule che non vengono collegate o non sono usate.
MOLTE OPPORTUNITA’. Sembra che esista una sorta di tabella di marcia per questa programmazione del cervello infantile “finestre di opportunità”, l’ha definita un neurobiologo nel corso della quale si possono fare specifiche connessioni. Per esempio, i neuroni che sovrintendono alla funzione visiva hanno uno scatto di crescita nei primi sei mesi di vita de bambino, ed entro l’ottavo mese stabiliscono 15.000 nuove connessioni. Una simile finestra di opportunità esiste per capire il linguaggio e impa­rare a parlare. Un bambino piccolo è in grado di distinguere suoni di qualunque lingua parlata dagli esseri unani. Secondo la dottoressa Patricia Kuhl, che si occupa di evoluzione del linguaggio alla University of Washington, sia i bambini americani sia quelli giapponesi distinguono facilmente i suoni “r” ed “l” nei primi sei mesi di vita. Mancando però nella loro lingua la “r”, i piccoli giapponesi non riescono a conservare le connessioni per il suono corrispondente. Ne consegue che un bambino giapponese non abituato prima dei due anni alla differenza tra “r” ed “l”, di norma avrà difficoltà a distinguere i due suoni quando diventa adulto. Se una finestra di opportunità resta chiusa, il bambino rischia di rimanere handicappato per sempre? No, perché le possibilità di rinforzare le connessioni cerebrali abbondano durante l’in­fanzia. Per mezzo di un esame che si chiama tomografia a emissione di positroni (PET) e che misura il consumo di glucosio nel cervello, il neurologo infantile Harry Chugani dei Children’s Hospital presso la Wayne University di Detroit ha dimostrato che il cervello dei bambini di età compresa tra i tre e i dieci anni usa il doppio dell’energia rispetto a quello degli adulti. Ciò accade, spiega Chugani, perché nel periodo considerato le connessioni cerebrali sono molto più numerose e l’apprendimento di nuove capacità diventa di conseguenza più facile. Prendiamo per esempio il processo di apprendimento di una lingua straniera: il bambino dell’asilo la impara più facilmente di uno di nove anni, e quest’ultimo la padroneggia più age­volmente di un ragazzo delle superiori o di un adulto.
APPRENDIMENTO CASUALE. Che cosa può fare un genitore per potenzia­re l’intelligenza di suo figlio? “Non deve cercare di imitare le tecniche d’insegnamento che si usano a scuola” afferma Sbaron Landesman Ramey, che collabora col marito alla prepara­zione di progetti di azione educativa precoce. Quel che conta è creare un’at­mosfera favorevole all’apprendimento casuale. Cominciate presto, consiglia­no questi esperti, e regolatevi così: GUARDATELI NEGLI OCCHI. Quando ha un mese il vostro bambino riesce a mettere a fuoco gli oggetti che si tro­vano a circa 15 centimetri da lui, più o meno la stessa distanza alla quale vi trovate voi quando lo tenete in braccio e lo guardate in volto. In questo caso le connessioni cerebrali creano un per­corso di riconoscimento che diventa via via più chiaro e netto ogni volta elle prendete il bambino in braccio, e che aiuta vostro figlio a dividere il mondo che lo circonda in ciò che gli familiare e ciò che non lo è, in ciò che è diverso e ciò che è uguale, tutte ca­pacità fondamentali per l’apprendimento.
PARLATE, PARLATE, PARLATE. Dal momento in cui le nacque Lizzie, la si­gnora Amy Leonard praticamente non smise mai di parlarle, e a tre anni la bambina faceva già discorsi lunghi e sensati. Ora ne ha quasi cinque, riesce a leggere libri per bambini piccoli.La padronanza precoce del linguag­gio è importante, dice Janelleh Huntenlocher docente di psicologia alla University of Chicago, perché “il lin­guaggio è determinante per il buon funzionamento dell’intelligenza”. Possedere il linguaggio non significa soltanto essere capaci di dire le parole. Un esperimento compiuto dalla pro­fessoressa Huntenlocher e alcuni suoi colleghi ha rivelato che la ricchezza del vocabolario dei bambini dipende moltissimo dalla quantità di tempo che i genitori passano a parlare con lo­ro nei secondo anno di vita. In un altro esperimento la Huntenlocher e altri ricercatori hanno messo alla prova le capacità matematiche di due gruppi di bambini che andavano all’asilo, uno formato da soggetti pro­venienti da famiglie povere e presumibilmente poco seguiti dai genitori, l’altro corrisposto da piccoli le cui famiglie avevano un più alto livello culturale. Nelle prove di calcolo con mucchietti di monete a cui se ne ag­giungevano o toglievano di nascosto alcune, i bambini di entrambi i gruppi non ebbero difficoltà a indovinare il numero esatto dei pezzi. Ma quando il test divenne orale, venne chiesto ai bambini di risolvere problemi tipo “Maria aveva tre mele. Ne ha regalata una. Quante mele sono rimaste?», quelli del gruppo più acculturato riu­scirono molto meglio.
DATE SPAZIO ALLA MUSICA. Nella casa della signora Linda Maultsby di Chapel Hill, nel North Carolina, lei, suo marito, e i tre bambini cantando ogni sera prima di andare a letto sempre la stessa canzone. La signora Linda ha sempre cantato ai suoi figli fin da quando, sette anni fa, ebbe Sarah, la sua primogenita. Non, importa se non siete Pavarotti: ninne-nanne e canzoncine favoriscono lo sviluppo intellettuale del vostro bambino. La musica non insegna soltanto ritmo e melodia ai piccoli. Ricercatori della University of California di Irvine hanno scoperto che lezioni di piano e di canto corale hanno migliorato di molto le capacità di ragionamento spaziotemporale di alcuni bambini di tre anni, che si sono dimostrati più precisi e veloci dei loro coetanei non “musicalizzati” nel montare puzzles. Il ragionamento spazio-temporale, dice il professore di fisica Gordon Shaw, direttore di una serie di studi attualmente in corso in California, è anche importante per capire la matematica e le scienze. Usando un modello computerizzato, Shaw ha fatto una Previsione poi confermata da osserva­zioni successive: matematica e musica potrebbero essere “attivate” dagli stes­si meccanismi d’innesco neuronale.
INCORAGGIATE LA CREATIVITA’. Un bambino cresce intellettivamente e impara a riconoscere il mondo facendo nuove esperienze, esplorando. “La cosa positiva è che i bambini sono naturalmente portati a cercare il nuovo” dice Craig Ramey. “Non c’è bisogno di stimolarli.” I piccoli esploratori si avventurano alla ricerca di nuovi mondi già quando sono ancora nella culla, guardandosi attorno. La loro curiosità è smisurata, e la soddisfano toccando, mettendo in bocca le cose, maneggiandole e strofinandole. Incoraggiate il loro desiderio di conoscere. Meglio ancora, esplorate con loro. Raccogliete un giocattolo e osservatelo attentamente, poi datelo da esaminare al vostro bambino, e se vi tocca camminare a quattro zampe come lui, fatelo senza esitare.
“ETICHETTATE LE COSE”. Linda Mault­sby ha usato pupazzetti per aiutare il suo bambino di tre anni, Michael, a distinguere i colori. “Gli dicevo: prendi il Power Ranger rosso” ricorda. “E ora quello verde”. Perfino quando sono molto piccoli i bambini capiscono che il rosso è diverso dal verde, afferma Craig Ramey. Non riescono a dire le parole, naturalmente, non si rendono conto della differenza ben prima di compiere un anno. Tocca ai genitori «etichettare» colori, dimensioni e forme per aiutarli a fissare meglio il concetto.
LODATELI. “Bravo!” dite al vostro bambino la prima volta che riesce a bere da solo. Riconoscere con una lode le conquiste dei vostri figli non solo li fa sentire contenti e fieri, ma rinforza anche i collegamenti, che hanno luogo tra il decimo e il diciottesimo mese, tra la corteccia frontale del cervello e l’amigdala, la formazione di tessuto nervoso che si trova nell’encefalo e che è sede delle emozioni. Quando lodate i progressi del vostro bambino, rendendolo felice, il suo cervello libera una quantità di sostanze chimiche che rinforzano i circuiti. Se invece questi progressi sono accolti con indifferenza, i circuiti rimangono deboli, e il bambino diventa riluttante a battere nuove strade.
NON FERMATEVI, ORA. L’intervento precoce è importante, ma lo sviluppo intellettuale continua anche dopo i primissimi anni. La moltiplicazione delle reti neuronali, specie di quelle che ri­guardano le emozioni, prosegue, fin nell’adolescenza. Perciò continuate a leggere libri a vostro figlio, a parlargli, a fargli sentire musica. Il vostro ruolo rimane di primaria importanza mentre il bambino o la bambina crescono. E se il loro quoziente d’intelligenza non fa registrare progressi eccezionali, il profitto a scuola può migliorare sensibilmente. In questi anni che il cer­vello viene messo a punto, e che l’influenza dell’ambiente conta ancora molto per un bambino. Il vostro impegno non creerà necessariamente un Einstein, ma rimane un elemento fon­damentale per lo sviluppo intellettivo di vostro figlio.
Tratto da Reader’s Digest – Selezione n° 579 dicembre 1996
Giannicola De Antoniis:
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